Il Teatro Baudi di Selve di Vigone: Un Palcoscenico di Storia e Neoclassicismo.

di Pietro Ruo

Nel cuore del Piemonte, tra le verdi campagne di Vigone, sorge un luogo di cultura e tradizione che ha attraversato i secoli: il Teatro Baudi di Selve.

Il Teatro prende il nome dal conte Giovanni Baudi di Selve, che fu il committente dell’edificio.

Il conte era un notabile della zona di Vigone ed il teatro fu costruito, per volere suo, nel cuore dell’abitato, tra il Palazzo Municipale e la Chiesa di Santa Maria del Borgo.

La sua storia inizia quando il conte Giovanni Baudi di Selve insieme all’architetto Domenico Berutto, progettano un teatro “senza facciata”, un dettaglio architettonico che nasconde all’esterno la magnificenza che si svela all’interno.

Inaugurato nel lontano 1855, questo teatro all’italiana è un esempio pregevole di architettura neoclassica, con un interno a ferro di cavallo che evoca l’eleganza ed il fascino dell’epoca ottocentesca.

La sua inaugurazione coincise con la festa patronale di San Nicola, e fu celebrata con l’esecuzione dell’opera buffa “Chi dura vince” del maestro Luigi Ricci, riflettendo l’amore per l’arte e la musica che animava la società dell’epoca.

Nonostante le vicissitudini storiche, tra cui un periodo di chiusura e l’utilizzo come cinematografo durante la Seconda Guerra Mondiale, il Teatro Baudi di Selve ha mantenuto intatto il suo spirito originario.

Il restauro del 2007, progettato dall’architetto Pier Luigi Cervellati di Bologna ha riportato alla luce l’apparato scenotecnico in legno, un tesoro scenografico che testimonia la maestria artigianale del passato ed ha messo in evidenza le macchine lignee, rendendo il Teatro Baudi di Selve l’unico teatro all’italiana esistente nel pinerolese e uno dei pochi teatri storici della Provincia di Torino.

Oggi il Teatro Baudi di Selve a Vigone non è solo un edificio storico, ma un luogo vivo, dove ogni spettacolo è un’esperienza unica e indimenticabile, un dialogo tra arte e spettatore che continua a incantare e ispirare, dove la programmazione variegata spazia dal dramma alla commedia, dalla musica alla danza, dando anche spazio alle commedie dialettali in lingua piemontese rappresentate dalle più rinomate compagnie teatrali del Piemonte.

L’Associazione Progetto Teatro Selve, si impegna a offrire spettacoli che toccano le corde più profonde dello spettatore, creando un dialogo continuo tra passato e presente.

Ma questa splendida cornice non è l’unico esempio di raffinatezza architettonica in Piemonte.

Come non citare il Teatro Regio di Torino ad esempio, con elementi neoclassici nella sua facciata storica, oppure il Teatro Carignano, noto per la sua sala a campana e le decorazioni che mescolano stili barocco e neoclassico, o il Teatro Civico di Vercelli, con la sua caratteristica facciata neoclassica.

Questi palcoscenici sono tutti testimoni dell’abbondanza e del gusto dell’epoca in cui sono stati realizzati, pur avendo subìto diverse trasformazioni nel corso degli anni.

Ogni teatro, con la sua storia ed il suo carattere, rappresenta un tassello importante nel mosaico culturale italiano e continua ad essere un punto di riferimento per gli amanti dell’arte e dello spettacolo.

Fonti:

Fondazione Piemonte da vivo: www.piemontedalvivo.it

Comune di Vigone: www.comune.vigone.to.it

La via delle risorgive: www.viadellerisorgive.com

Eco del Chisone: www.ecodelchisone.it

Un “ricciolo” “birichino”

di Aldo Selvello

L’ infanzia accidentata di Macario.

Bello è raccontare di Macario! In questo articolo scriverò di Macario bambino discolo, appunto, “birichino”! Come lui stesso si descrive nella sua biografia.

Una infanzia accidentata.

Scrive di se stesso: “fui sul punto di morire almeno dieci volte”, fui travolto due volte da un carro: alla prima, era un furgoncino di Porta Palazzo, di quelli che la sera trasportavano la stoffa quando si sbaraccavano i banchi, mi fratturai una gamba – subito ingessata dalla guardia medica del Municipio di via Bellezia. Alla seconda, ero capitato sotto un calesse, mi acciaccai la schiena. Più grave, fui portato all’Ospedale San Giovanni.

Abitavamo allora in via Franco Bonelli n.6, al primo piano: un po’ più di soldi ci permettevano “il lusso” di una stanza senza tante scale.

In quegli anni mi era venuta la mania dei fiammiferi: una mattina, solo in casa, a letto con l’angina, usai dei cerini, sul comodino, per accendere una candela (la luce elettrica non c’era ancora). Per l’illuminazione nelle case si usava il gas, la lampada a petrolio e, per la notte, le candele. Risultato fu che prese fuoco il letto; le vicine di casa vedendo il fumo, chiamarono mia madre ed i pompieri. Dalla portineria, dove si trovava, mia madre accorse subito; i pompieri invece…..no. Tuttavia con alcuni secchi d’acqua mia madre ed i vicini riuscirono a spegnere le fiamme.

Poi fui travolto dalle acque della Dora mentre prendevo un bagno vicino al ponte delle “Benne” (Regio Parco); mi portarono a casa, salvato da un barcaiolo….

Una volta, per gioco, misi la testa in un buco fra due scalini della cantina….mi tirarono fuori due muratori, i quali dovettero rompere il gradino perché le orecchie impedivano di far uscire la testa.

Una o due settimane dopo questo “incidente”, ero nel cortile di casa mia a giocare “ai soldatini”, con altri ragazzetti e,…..mi ero infilato sul capo, a mo’ di elmetto, un vecchio vaso da notte di smalto, tutto acciaccato, trovato chissà dove. Vinsi regolarmente tutte le battaglie ma, quando si trattò di iniziare il meritato “riposo del guerriero”, andando a fare merenda, incominciarono i guai. L’elmo non usciva più dal capo……. Urlai al soccorso e arrivò la mamma: ma non riuscì nemmeno lei…..fini per condurmi da un lattoniere che, per riuscire a toglierlo…. dovette tagliarlo.

Mia madre, d’estate, mi mandava da certi parenti a Villar Perosa. Una domenica, per essermi distratto nell’attraversare una strada, feci capitombolare sei o sette corridori ciclisti che stavano disputando la “volata” finale.

Sempre a Villar Perosa, stavo giocando in mezzo ai binari del treno (tranwai n.d.r.), quando questo arrivò ed io, per un pelo non fui investito. Si fermò a nemmeno tre metri da me che stavo a guardare inebetito, ……

Il fuochista mi fece scappare tirandomi dietro dei grossi pezzi di carbone.

A Torino,…..giocavamo a scavalcare i cancelli della chiesa della Consolata. lo mi lanciai in un volteggio e rimasi infilato in una delle punte. Fu la prontezza di un sacerdote a togliermi da quella posizione alquanto scomoda. Urlavo come un’aquila e credevo di morire. Me la cavai invece con un buco nel pancino di cui conservo ancora il segno.

E ne avrei da raccontare ancora molte altre di simili “vivezze”, tanto che il dottor Borsotti un giorno disse a mia madre: “Chissà cosa vorrà mai diventare questo bambino, se ancora non è morto nonostante quello che gli è successo”!!!

Dal libro: Macario Story

Frammenti di vita al tempo della guerra.

di Luciana Canavosio

In occasione delle celebrazioni del 25 aprile, anniversario della liberazione d’Italia, la Biblioteca di Buriasco ha preparato un filmato con interventi degli anziani del paese sul periodo della guerra. Sono ricordi ancora vividi di un tempo che ha segnato profondamente la loro gioventù e infanzia. Molti di loro abitavano a Buriasco o poco distante ed è stato chiesto di raccontare il periodo della guerra.

Per mantenere la freschezza e la genuinità dei racconti si è scelto di non doppiare le interviste così da lasciare l’ascolto in lingua piemontese. Nonostante sia passato molto tempo e molte vicissitudini, le emozioni che traspaiono sono autentiche e nitide, come se parlassimo di cose accadute poco tempo fa. 

Ma facciamo ordine… 

Con la liberazione delle grandi città del Nord e la resa dei tedeschi in Italia, la primavera del 1945 segnò la fine della guerra nel nostro Paese. La data del 25 aprile, giorno della liberazione di Milano, fu scelta in seguito come anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. 

Frammenti di vita buriaschese al tempo della guerra.

L’occupazione dell’Italia settentrionale e centrale era iniziata a seguito della proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943. 

Giovanni P.: L’8 settembre si diceva che la guerra era finita. Ma era appena cominciata! Ricordo i militari che scappavano dalle caserme e cercavano vestiti borghesi per non essere riconosciuti dai tedeschi… ma purtroppo non ce n’era per tutti.

Il 18 aprile 1945 Torino si ferma: la città è bloccata dalla sciopero generale che coinvolge scuole e fabbriche. Si scatena la repressione da parte degli squadroni fascisti. 

Mario: Quando bombardavano Torino bisognava spegnere le luci, i nostri vicini le avevano accese e ci hanno buttato una bomba incendiaria che aveva creato un buco. Da noi era arrivata una famiglia di sfollati da Nichelino. La nonna con i 7 nipoti. Dormivano tutti con noi.

In campagna si percepiva diversamente la guerra rispetto alle grandi città: non mancavano proposte di scambio sorprendenti 

Maria C.: La fame in campagna non si pativa, avevamo carne e verdura… quando siamo andati a Pinerolo per comprare gli occhiali, l’oculista ha detto a mia mamma che se gli portava una pagnotta di pane le faceva pagare gli occhiali a metà prezzo… anche se c’erano i soldi mancava la roba. 

A Buriasco, in quella che ora è la scuola media, risiedeva Spirito Novena e la sua banda di criminali, particolarmente temuta nel circondario. 

Antonio: Una domenica mattina stavo andando con il mio amico dal barbiere, arrivati sulla piazza abbiamo incontrato il Novena. Ci ferma e ci dice che se andavamo a finire in brutte compagnie ci facevano fare la fine del topo. 

Criminali che contribuivano a seminare il terrore con atti di violenza. 

Elda e Giovanni: I repubblichini ci hanno ammazzato il cane. Per crudeltà. Il cane dormiva tranquillo. Ricordo ancora il verso che ha fatto. anche le galline uccise e buttate nella bealera 

Olga: Hanno preso l’oro a mia mamma, anche la fede, tutto. Ma non importa, non ci hanno preso la vacca; a tanti hanno preso la vacca per mangiare. 

La paura era la vera protagonista di tutte le giornate: la confusione e l’incertezza data da una più limitata diffusione delle notizie rispetto oggi, peggioravano la situazione. 

Maria B.: La notte avevamo paura a dormire che arrivasse qualcuno e ci cogliesse nel sonno. Poi è finita. Hanno suonato a lungo le sirene e le campane. A quel punto ci siamo calmati. Purtroppo però le cose brutte non erano finite: il 4 maggio una gelata ci ha rovinato tutto il raccolto e anche quell’anno abbiamo dovuto tirare la cinghia.

Finita ufficialmente la guerra, c’era un intero paese da ricostruire. 

Matteo: Dopo la guerra si viveva nel ricordo delle cinque giovani vittime civili uccise per rappresaglia… all’epoca tutti ritenevano che fosse stato un atto di vendetta eccessivo. Si parlava anche dei pochi soldati non più tornati. 

Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa, saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani, del genere umano.
Italo Calvino

Grazie a tutti coloro che hanno partecipato: Adoperiamoci tutti affinché i ricordi che abbiamo ascoltato siano da monito per conservare la pace che oggi più che mai viene messa in pericolo. 

 

Spunta un “ricciolo” sui tetti di Torino

di Aldo Selvello

Erminio Macario nasce a Torino, in via Botero 1, il 27 maggio 1902.

Le prime recite avvengono all’oratorio Salesiano San Francesco di Sales a Valdocco, dove tutto ha inizio. (In quel luogo, dove io ero studente nel 1973/74, lo vidi passeggiare nei cortili in compagnia di Salesiani)

Prima di arrivare al successo Macario intraprese mille lavori ed una lunga gavetta. Quindicenne formò una Compagnia che per due anni svolse la propria attività al circolo San Donato in via Saccarelli a Torino.

Inizia così la storia di uno dei più grandi artisti del teatro piemontese e della rivista italiana, nonché del cinema comico, dove lavorò con illustri artisti come l’indimenticabile Totò.

Se siete curiosi di saperne di più seguiteci, pubblicheremo altri articoli che racconteranno poco alla volta la vita del grande Macario, avvalendoci anche del contributo di illustri personaggi.

Macario – Francobollo speciale

In occasione dei centoventi anni dalla nascita, le poste italiane, nel mese di novembre 2022, hanno emesso un francobollo, appartenente alla serie speciale “Le eccellenze dello spettacolo” in onore di Macario.        

Foto da bambino: Macario a sette anni, l’epoca dei cento incidenti…a causa della sua irrequietezza. (Che in seguito vi racconteremo…)

Foto da ragazzo: A 15 anni…fu proprio all’oratorio Don Bosco di Valdocco (To) che il giovanissimo Erminio iniziò nel teatrino dei salesiani…a recitare, per poi avviarsi a quella che sarebbe stata la singolare e avventurosa carriera di attore comico.

(Foto e testo tratto dal libro autobiografico, Macario Story)

Il Teatro Piemontese

di Luciana Canavosio

Anche se le origini del Teatro Piemontese hanno radici lontane, il primo esempio cronologicamente sicuro si ha in laudi contenute in un manoscritto saluzzese che il Muletti riferisce agli anni 1398-14031, si può indicare nell’attore Giovanni Toselli il vero fondatore del Teatro Piemontese. 

Nato a Cuneo nel 1819 concretizzò i precedenti tentativi dilettanteschi di rappresentazioni dialettali in un forma stabile e continuativa. 

Giovanni Toselli

Già attore nella compagnia di Gustavo Modena, si trovò a lavorare con la famiglia Lupi, famosi burattinai, e si accorse che il pubblico gradiva moltissimo le sue interpretazioni in dialetto di Giandoja, la famosa maschera, simbolo ed espressione del carattere e della genuinità dell’anima popolare piemontese. 

Decise quindi di dedicarsi esclusivamente al teatro dialettale, trovò la sede adatta e la prima commedia, la Cichin-a ‘d Moncalè, ebbe notevole successo nel marzo del 1859.

La sua compagnia composta da validi attori passò di successo in successo.

Verso la fine del 1800 però il teatro dialettale ebbe un periodo di crisi e le normali produzioni ricevevano una fredda accoglienza da parte del pubblico. 

Soltanto ai primi del 1900 alcune compagnie ottennero un buon consenso di pubblico ma la scena piemontese non ritrovò più lo splendore dei primi anni.

La freddezza del pubblico, teso a cercare nuove forme di divertimento, lo scarso aiuto della stampa e l’incomprensione delle autorità competenti rendevano al teatro Piemontese la vita non facile. 

Altro fattore negativo era la mancanza di sovvenzioni che erano invece concesse in Italia ad altre compagnie dialettali e al teatro in lingua.

Tra gli anni 1950 e 1960, importanti autori scrissero opere molto valide ma non esistevano più le grandi compagnie che avrebbero potuto portarli al successo.

La scena dialettale è in piena crisi quando nasce nel 1968 a Torino l’Associazione del teatro Piemontese, con l’appoggio delle autorità cittadine e provinciali.

Vengono rappresentati con discreto successo alcuni spettacoli e nel 1969 Giuseppe Erba apre un nuovo locale, il teatro Erba, nel quale il Teatro Piemontese può trovare finalmente una sede stabile.2

1 Muletti Delfino: memorie storiche diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo, Saluzzo Lobetti Bodoni 1830. Delfino Orsi Il teatro in dialetto piemontese- studio critico Milano G Civelli 1890

2 Domenico Seren Gay Teatro popolare dialettale Priuli&verlucca editori

La lingua Piemontese:

di Chiara Gecchele

Il piemontese è una lingua romanza ovvero è una lingua derivante dal latino, appartenente al gruppo delle lingue gallo-italiche parlate nell’Italia settentrionale.

Nella storia del Piemonte sono state utilizzate storicamente ben otto lingue, di cui quella che prende il nome di “piemontese” è l’unica ad essere racchiusa quasi interamente nel territorio.

In effetti possiamo dire che il piemontese è anche una lingua di collegamento tra il lombardo e l’occitano, poiché dal punto di vista genealogico, il piemontese deriva dalla lingua latina, introdotta negli idiomi celtici e celto-liguri dopo l’occupazione romana del Piemonte.

Il piemontese è una lingua che possiede caratteristiche lessicali, fonetiche, che lo distinguono all’interno del continuum ovvero, una catena di lingue diverse ma geograficamente vicine e geneticamente imparentate, che però con l’aumentare della distanza, diminuiscono la comprensibilità.    

Esempio: Le lingue neolatine (portoghese, castigliano, catalano, provenzale, francese, occitano, italiano, corso, sardo, siciliano, romancio, friulano, veneto, rumeno ed altre) formano un altro continuum ben noto, poiché hanno uno stampo letterario simile.

Il 15 dicembre 1999 il Consiglio regionale del Piemonte, ha ufficialmente riconosciuto il piemontese quale lingua regionale del Piemonte. Nel 2015 il Consiglio regionale del Piemonte ha inoltre attivato la versione in piemontese del proprio sito ufficiale.

In più il piemontese è materia di ricerca del Centro Studi Piemontesi – Ca dë Studi Piemontèis, fondato a Torino da Renzo Gandolfo nel 1969, che conduce ricerche sulla lingua, la letteratura e le sue varietà.

Storia:

Fra le lingue neolatine il piemontese è una delle lingue che si sono maggiormente complicate!  Verso la fine del XVII secolo, la grammatica italiana venne semplificata però il lessico italiano influenzò molto il piemontese con parole come per esempio:

parpajon/parpajola, frel, seure, barba, magna e adret

che sono state rispettivamente sostituite da: 

farfala, fratel, sorela, zìo, zìa e àbil. 

Nel 1783 Maurizio Pipino, presso le Stamperie Reali, stampò la prima grammatica della lingua piemontese, che però rimase incompleta.

L’unica versione che ebbe una certa completezza fu quella di Arturo Aly Belfàdel, pubblicata nel 1933, La Gramàtica Piemontèisa, scritta interamente in piemontese ed è ancora oggi un riferimento per la lingua letteraria; venne utilizzata come punto di riferimento da Camillo Brero (Druent  4 marzo 1926 – Pianezza, 10 gennaio 2018) poeta e scrittore italiano che dedicò la sua vita all’insegnamento, alla ricerca e alla scrittura della lingua piemontese.

Curiosità:

Ad oggi in Piemonte si parlano 6 tipi linguistici differenti di piemontese.

L’area è molto vasta e quindi il piemontese non può essere omogeneo su tutto il territorio, poiché più ampia è la zona, maggiore sarà l’influenza lessicale dei territori vicini sulla lingua.

Ad esempio verso il confine con la Lombardia, la lingua comprende espressioni di parlata lombarda, soprattutto nella Provincia di Novara. 

In provincia di Alessandria,ad esempio, sono presenti forti interferenze fra tre ceppi: piemontese, ligure ed emiliano.

Nelle valli cuneesi occidentali, saluzzesi e valdesi della provincia di Torino si parlano varietà di provenzale cisalpino, con alcuni tratti tipici transalpini. 

Inoltre nel corso del Novecento si sono verificate alcune trasformazioni che hanno interessato in particolar modo la zona di montagna in cui ci fu una penalizzazione dei patois locali, a favore del piemontese di koinè che per un breve periodo alla fine del Novecento è stato la lingua più parlata fino alla cresta alpina, finché non è stato l’italiano a sovrapporsi e indebolire entrambe.

Per chi desidera approfondire l’argomento: https://g.co/kgs/yrx2fN